Crisi 2008: cause e conseguenze del disastro finanziario

A cura di Mario Sorrentino

“Comprare per rivendere casa sembra un modo semplice per arricchirsi”, questa era la frase che spiccava nell’edizione del New York Times del 26 settembre 2004, dunque ben 4 anni prima dello scoppio della crisi del 2008.

Ebbene sì, la crisi del 2008 è stata in realtà il risultato di una serie di tendenze e comportamenti manifestatisi ben prima del fallimento di Lehman Brothers (settembre 2008), una delle banche d’investimento a quel tempo più importanti del mondo, il cui destino è diventato l’evento emblematico di quel periodo.

Ma cosa ha portato alla crisi finanziaria del 2007 2008? Cosa non ha funzionato? Perchè questi comportamenti dannosi non sono stati intercettati e corretti? Chi avrebbe dovuto limitare gli eccessi finanziari di quel periodo? In che modo si è propagata la crisi nel mondo e che effetti ha avuto sull’economia reale?

Mettiti comodo, ripercorreremo insieme le tappe fondamentali di quel periodo storico e comprenderemo i preziosi insegnamenti che le grandi crisi sanno offrire.

Il periodo pre-crisi 2008: gli anni 2004-2006

È nelle fasi armoniche di economia e mercati, in cui tutto sembra andare per il verso giusto, che la natura degli operatori economici (banche, investitori, consumatori) è orientata verso la crescita irrefrenabile che silenziosamente fa passare inosservata la nascita degli eccessi.

Lo schema ricorrente delle grandi crisi è:

  1. periodo economico positivo;
  2. banche particolarmente disposte a finanziare la crescita;
  3. accesso al credito più facile anche per debitori con scarso merito creditizio;
  4. mancato pagamento del debito;
  5. crisi.

Al di là di questo schema, è interessante notare come l’economia americana nel periodo 2004-2006 vivesse in una fase “Goldilocks”, ossia né troppo calda né troppo fredda.

Crescita stabile (3%-4%), disoccupazione inferiore alla media di lungo periodo (4%-5%), inflazione di poco sopra il punto di equilibrio (2%-3,5%) facevano dell’economia americana la classica “economia in equilibrio” tanto decantata dai libri accademici.

Tuttavia, come già anticipato, sono queste le fasi che nascondono i più gravi eccessi dell’economia stessa, considerando anche il focus principale delle banche centrali sui loro obiettivi ufficiali:

  • stabilità dei prezzi (inflazione al 2%),
  • crescita stabile.

Da qui dunque la miopia delle autorità nei confronti del rapporto debito/PIL, che dal 2004 al 2006 cresceva ad un tasso medio del 12,6%. In poche parole la fase meravigliosa dell’economia americana cominciava a favorire comportamenti di moral hazard: coloro che accedevano al credito cominciavano ad acquistare asset immobiliari e finanziari servendosi esclusivamente di debito, forti della convinzione di una crescita importante e costante dell’economia e dunque dei prezzi delle attività finanziarie (che per natura incorporano le aspettative economiche).

Il settore in cui si stava manifestando maggiormente la bolla del debito era quello immobiliare: dal 2000 al 2006 i prezzi erano aumentati di oltre l’80% e il debito delle famiglie era passato dall’85% al 120% del loro reddito disponibile (al netto delle uscite).

Era evidente che l’acquisto di case era effettuato principalmente a debito: complice il periodo apparentemente d’oro dell’economia, i creditori (le banche) prestavano denaro a debitori sempre più rischiosi (mutui subprime) e quindi a tassi sempre più alti, fiduciosi del fatto che i prezzi delle case avrebbero continuato a crescere così come l’economia e quindi il reddito dei debitori. In caso di default dei debitori, le banche si sarebbero tutt’al più trovate un immobile con valore raddoppiato, triplicato e via dicendo….

Si alimentava quindi una spirale:

  1. concessione di mutui,
  2. acquisto di case a prezzi in crescita,
  3. standard creditizi per l’accesso al credito più bassi perché gli immobili a garanzia valgono sempre di più,
  4. concessione di mutui anche a debitori più rischiosi (mutui subprime),
  5. acquisto di case a prezzi in crescita e via dicendo.

“Le persone vedevano amici e vicini di casa arricchirsi con la compravendita di immobili, quindi anche loro erano spinte a comprare”, così Ray Dalio, uno dei più grandi economisti del mondo, riassumeva le dinamiche del periodo 2004-2006.

“Casa dolce casa: perché andiamo matti per gli immobili”, così nell’estate del 2005 intitolava una copertina della rivista TIME.

Il mercato dei mutui subprime rappresentava il 20% del mercato e le società leader di settore (Fannie Mae e Freddie Mack) godevano dei favori del Governo che le sponsorizzava in merito alla loro innovativa pratica di cartolarizzazione creditizia che permetteva anche a cittadini poco meritevoli di credito di ottenere un mutuo.

Acquistavano mutui concessi dalle banche, li impacchettavano e davano vita a prodotti costituiti da una parte di asset senza rischio e un’altra con rischio elevatissimo. Sfruttando la diversificazione (e anche pratiche poco trasparenti di valutazione del rischio) ottenevano un rating (giudizio di affidabilità) di AAA (particolarmente positivo) dalle società di rating più importanti e li riuscivano a collocare agli investitori assimilandoli ai titoli di Stato (che avevano lo stesso rating).

Gli investitori stavano inconsapevolmente finanziando mutui che non sarebbero mai stati ripagati, considerandoli sicuri come titoli di Stato, facendo affidamento sul giudizio AAA delle società di rating e sulla solida reputazione delle principali banche del mondo (JP Morgan, Lehman Brothers, Merryll Linch) e delle società di cartolarizzazione sponsorizzate dal Governo che li collocavano.

La propagazione della bolla immobiliare: il periodo 2006-2007

Verso la fine del 2006, l’economia americana cominciava a manifestare segnali di debolezza, di pari passo al rallentamento della crescita dei prezzi delle case.

I tassi di risparmio degli americani cominciavano a ridursi, per cui gli USA cominciavano ad attingere dai flussi di capitali esteri che richiedevano dollari e asset americani. Contestualmente, in America, i cittadini cominciavano a finanziare anche il proprio consumo con il debito, grazie al fatto che l’afflusso di capitali da Cina ed Europa manteneva relativamente bassi i tassi di interesse, alimentando sempre di più la bolla oramai diventata finanziaria.

Il debito stava finanziando consumi e cattivi investimenti che non avrebbero prodotto reddito utile a ripagare il debito stesso, provocando ingenti perdite su crediti delle banche e nei portafogli degli investitori.

Così come in ogni bolla finanziaria, cominciavano a farsi strada nel mercato forme sempre più innovative di credito e sempre più lontane dalla tracciabilità e dalle regole del sistema finanziario. Queste forme andavano incontro all’insistente domanda globale di asset americani; tuttavia la domanda di titoli di Stato americani era in eccesso rispetto all’offerta e fu veicolata verso questi “nuovi strumenti sicuri” assimilati per rating ai titoli di Stato.

Prestiti cartolarizzati, fondi del mercato monetario (investiti in prodotti cartolarizzati) che promettevano rendimenti più alti a parità di rischio dei conti bancari, attività finanziarie cartolarizzate di dubbia composizione e globalizzazione dei prestiti in dollari cominciavano ad essere promossi dal sistema delle “shadow-banks” (“banche ombra” con regolamentazione opaca e scarsa capitalizzazione) che si facevano spazio in un contesto normativo sempre più permissivo e ormai fuori controllo.

Ecco allora la combo perfetta: bassi tassi di interesse, credito facile, regolamentazione permissiva e innovazione finanziaria rischiosa.

È infatti nella prima metà del 2007 che un numero sempre più alto di banche cominciava a manifestare crediti ipotecari in sofferenza, con risvolti concreti sulla curva dei tassi di interesse in evidente rialzo ma non sui mercati azionari che sembravano convinti del fatto che la bolla riguardasse solo una nicchia di mercato.

Tuttavia, con i tassi di mercato al rialzo, diventava sempre più problematico per i debitori pagare gli interessi sul debito (che era stato contratto perlopiù a tasso variabile) e chiedere mutui.

I debitori pagavano sempre più interessi a discapito della loro spesa e questo restringeva l’attività economica, facendo ridurre i prezzi degli asset finanziari e immobiliari.

A metà 2007, le grandi banche cominciavano ad annunciare le prime ingenti perdite su crediti, innescando timori sul mercato che un numero più alto del previsto di operatori fosse pericolosamente coinvolto nel mercato dei mutui subprime.

Si era ufficialmente passati da una fase di mercato risk-on ad una di risk-off, in cui operatori finanziari e investitori preferivano la liquidità alle attività immobiliari e finanziarie, tra cui i mutui subprime che non avevano più una domanda consistente.

La crisi finanziaria del 2008

Il 2008 iniziò con annunci di ulteriori perdite su crediti da parte dei colossi del sistema bancario, per cui si faceva sempre più strada l’ipotesi che quella che sembrava una nicchia di mercato (mutui subprime) in realtà fosse un mercato strettamente interconnesso con tutto il mondo bancario globale. La domanda di mutui si arrestò e con sé il collocamento dei prodotti cartolarizzati, con effetti immediati sui prezzi degli immobili e sui portafogli bancari e degli investitori e sull’economia oramai compromessa.

Si tende ad identificare la crisi nel fallimento di Lehman Brothers del settembre 2008, ma in realtà già nel marzo del 2008 c’era stato il primo fallimento non dichiarato nel mercato dei mutui della società Bear Stearn.

Bear Stearn in termini dimensionali non era Lehman, ma in termini di interconnessioni deteneva legami con banche di tutto il mondo soprattutto nel mercato dei pronti contro termine (che come sottostante avevano mutui subprime). Tuttavia la Fed ricorse all’aiuto di JP Morgan al fine di evitare il fallimento effettivo della società, ma era indubbio che lo stesso destino sarebbe toccato prima o poi alla banca sistemica più esposta ai MBS (Mortgage backed securities o mutui cartolarizzati): Lehman Brothers.

Quello che non ci si aspettava era che per Lehman non si sarebbe riuscito a trovare il compratore pronto a rilevarla. D’altronde la Fed convocò i dirigenti delle banche più importanti del Paese con l’intento di organizzare un’operazione di salvataggio, ma il Governo non era disposto a fornire sostegno all’operazione, dopo aver nazionalizzato le società Fannie Mae e Freddie Mac anch’esse salvate sull’orlo del fallimento.

Ecco dunque che il 15 settembre 2008, Lehman Brothers chiese l’amministrazione controllata, certificando di fatto lo scoppio della crisi.

Lehman era una banca sistemica, essendo la controparte piú coinvolta nel mercato globale dei derivati (soprattutto nei Credit Default Swap) e nel mercato dei mutui cartolarizzati.

Il fallimento di Lehman ammontò a circa 600 miliardi di attività finanziarie dichiarate ed ebbe conseguenze dannose per l’intero sistema finanziario che iniziò a godere di scarsa fiducia.

Le banche stesse tra loro non effettuavano più operazioni di credito/debito non essendo pienamente a conoscenza delle rispettive posizioni nel mercato dei mutui subprime e non prestavano più denaro ai retail. Dal canto loro i cittadini di tutto il mondo preferivano liquidità agli investimenti, non iniettando denaro nell’economia reale. I tassi di interesse subirono un’impennata e solo anni di politiche monetarie ultraespansive convenzionali e non convenzionali delle banche centrali di tutto il mondo favorirono una progressiva riduzione dei tassi e un ripristino graduale della fiducia degli agenti economici nel sistema finanziario.

Soltanto dopo l’elezione di Obama a Presidente degli USA nel 2011 fu stilato un programma di revisione e inasprimento della supervisione finanziaria in tutto il mondo, con il placet dei centri finanziari globali.

Film crisi 2008

Bene, se sei arrivato fin qui significa che l’argomento ti appassiona e sicuramente vorresti approfondire tutte le vicende, aneddoti e situazioni accadute durante questo periodo.

Quale film guardare sulla crisi 2008?

Ce ne sono molti, ma quelli che ti consigliamo di vedere sono:

  • Wall Street: Money Never Sleeps (2010)
  • Margin Call (2011)
  • Too Big to Fail (2011)
  • La grande scommessa (2016)

Nel caso volessi guardare altri film sulla finanza e investimenti dai un’occhiata al nostro articolo cliccando qui.

Conclusioni

Le crisi finanziarie sono dolorose, ma tremendamente educative. I paradigmi ricorrenti sono:

  • eccesso di debito,
  • creazione facile di ricchezza,
  • paura di restare fuori dal trend del momento (FOMO),
  • regolamentazione scarsa o assente.

È incredibile notare come certi comportamenti sembrano ripresentarsi nel tempo in settori differenti e sempre più innovativi.

L’investitore avveduto deve “mantenere la barra dritta” in tutti i contesti di mercato: solo con una strategia di investimento ben definita e indipendente dall’emotività di breve è possibile ottenere soddisfazioni nel tempo. Il vero investimento è nel tempo e nei comportamenti giusti ed un bravo consulente finanziario può essere di aiuto soprattutto in momenti del genere.

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